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Isola felice

Non credo che la felicità esista; credo che esista soltanto la gioia.

(Jean-Paul Sartre)

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Se ci sono cinque minuti della mia vita spesi totalmente male, sono quelli che passo, molto raramente per fortuna, su Facebook. La mia insofferenza verso il noto social network non deriva tanto dal tipo di meccanismo aggregativo che lo caratterizza quanto dall'utilizzo che se ne fa. 
Isolato dal contesto "sociale" (difficile, vero?), Facebook sarebbe un ottimo strumento comunicativo, al pari degli omologhi Twitter, Google+, Myspace...; affidato però alle mani dell'utente tipico (permettetemi questa piccola generalizzazione)  mi pare che serva solo a configurare relazioni pseudosociali incentrate soprattutto, se non esclusivamente, sull'esibizione del proprio stile di vita, generalmente raffigurato come brillante, perennemente vacanziero e festoso, scevro da ogni altro aspetto umano che non sia rapidamente immortalato da uno scatto gaio. Alla fine, l'intera esistenza sembra compiersi  solo in pantagrueliche abbuffate, festicciole da battesimo in cui ci si abbiglia come per un Gran Galà, riuscitissimi acquisti di beni di consumo più o meno "di lusso" ed estenuanti tirate su questo o quello, su quanto sia IN questo e OUT quello. Sembra di stare alla fiera del non gusto, oltre che del non senso.

Mi ricorda quello che Sartre ha scritto a riguardo della Nausea: 

... di tanto in tanto gli oggetti si mettono ad esistervi dentro

Forse è per questo che stare su Facebook mi obbliga poi a una specie di decompressione da sub.

E' un'isola (apparentemente e, soprattutto, perennemente) felice alla quale si approda come invitati ad una festa carnascialesca : ti ci vuole una maschera, altrimenti non ti si riconosce.

Trovo tutto ciò spersonalizzante, eccessivo, snaturante, stucchevole, nauseante. E' talmente disumanizzante, quest'isola felice, che, per me,  potrebbe essere benissimo un'isola che non c'è.

- - -

Sono invece certo dell'esistenza (purtroppo) di altre isole, questa volta del tutto infelici.
E non solo: degradate, abbruttite, venefiche...
Sono certe isole ecologiche di cui non si vorrebbe aver notizia ma che impongono la loro concreta esistenza per il fatto di essere, anch'esse,  colpevoli di disumanizzazione : del territorio e dell'ambiente, della coscienza civica.
Non basta un pannellaccio messo a guisa di avviso per giustificare una gestione deresponsabilizzata e  colpevole. E non  basta l'incuria di chi dovrebbe gestire responsabilmente la struttura a legittimare l'assurdo comportamento di quei "bravi cittadini" che, nonostante l'indebita chiusura,  hanno vomitato lì, senza alcuno scrupolo, il loro fardello di immondizia, tanta era, forse, l'impellenza di svuotarsi della roba posseduta, di dar via ad altri, di consegnare ad altre mani e ad altre coscienze il troppo che cominciava a vivere loro dentro.

L'infelice isola ecologica, questa mattina




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