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Il dolore


Ognuno di noi conosce il dolore, anche se talora si presenta con maschere che appaiono lontane dalla sofferenza.
Persino la violenza è un'espressione, certo inadeguata, della sofferenza: se vuoi capire la violenza devi sapere cos'è la paura e cosa il dolore. Il dolore dentro di me, il dolore che si nasconde dentro di te e che colpisce all'improvviso oscurando la speranza.
Non mi riferisco al dolore fisico, ma a quel dolore che si lega all'esistenza, alla fatica di vivere. Un male che va oltre la fisicità e si riferisce all'Io, all'unità della nostra persona, e che può far soffrire talmente tanto da soffocare in noi il desiderio di vivere. Allora il dolore assume il volto della morte e si vuole che tutto termini, che sparisca anche quel senso di inadeguatezza che ci fa sentire dei mostri.

Ma non voglio che questa lettera sia triste o troppo malinconica, vorrei che tu provassi qualche volta a esercitarti in questa traduzione del dolore e, sotto la superficie dei conflitti, delle baruffe quotidiane, cercassi di scorgere il dolore. Chiedendoti se non sia proprio lui il protagonista di quella ennesima storia di dissapore o addirittura di odio.

Lettera a un adolescente
di Vittorino Andreoli

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Breve storia del tempo


LA NOSTRA IMMAGINE DELL'UNIVERSO

Un famoso scienziato (secondo alcuni fu Bertrand Russell) tenne una volta una conferenza pubblica su un argomento di astronomia. Egli parlò di come la Terra orbiti attorno al Sole e di come il Sole, a sua volta, compia un'ampia rivoluzione attorno al centro di un immenso aggregato di stelle noto come la nostra galassia. Al termine della conferenza, una piccola vecchia signora in fondo alla sala si alzò in piedi e disse: " Quel che lei ci ha raccontato sono tutte frottole. Il mondo, in realtà, è un disco piatto che poggia sul dorso di una gigantesca tartaruga". Lo scienziato si lasciò sfuggire un sorriso di superiorità prima di rispondere:" E su cosa poggia la tartaruga?". "Lei è molto intelligente, giovanotto, davvero molto", disse la vecchia signora. " Ma ogni tartaruga poggia su un'altra tartaruga!"
La maggior parte delle persone troverebbe piuttosto ridicola quest'immagine del nostro universo che poggia su una torre infinita di tartarughe, ma perché mai noi dovremmo pensare di saperne di più? Che cosa sappiamo sull'universo, e dove sta andando? L'universo ebbe inizio e, in tal caso, che cosa c'era prima? Qual è la natura del tempo? Il tempo avrà mai fine?

Solo in tempo (qualunque cosa sia) ce lo dirà.


incipit tratto da
" Breve storia del tempo"
di Stephen Hawking

Emily L.

" Era cominciato con la paura.
Eravamo andati a Quillebeuf, come facevamo spesso quell'estate.
Eravamo arrivati alla solita ora, nel tardo pomeriggio. Come sempre avevamo indugiato lungo il parapetto bianco che fiancheggia la banchina oltre la chiesa, l'ingresso del porto, fino alla sua foce, il sentiero abbandonato che probabilmente porta alla foresta di Brotonne.

Uno sguardo all'altra riva, al porto del petrolio, e in lontananza, alle alte scogliere di Le Havre, al cielo. Poi, un altro sguardo al traghetto rosso che incrocia, alla gente che passa, all'acqua del fiume. E sempre quel parapetto che fa da sbarramento, fragile e bianco.
Dopo, andiamo a sederci al bar all'aperto dell'hotel de la Marine, al centro della piazza, di fronte all'attracco.
I tavolini sono all'ombra dei muri dell'hotel.
L'aria è immobile, non c'è un alito di vento.

Ti guardo, tu guardi il posto. Il caldo. Le acque piatte del fiume. L'estate. E poi guardi nel vuoto. Le mani giunte sotto il mento, bianchissime, bellissime, guardi senza vedere. Assolutamente immobile, mi chiedi cosa c'é. Dico come al solito. Che non c'é niente. Che ti guardo. "

- Incipit -



Il volo della martora


IL PERO E IL MELO

Quando venne deciso di abbattere il pero e il melo, ci rimasi male. Per più giorni tentai di convincere mio padre a lasciarli stare. Ma lui, mentre aspettava il calar della luna con la scure affilata, si ostinava a ripetere che erano secchi in piedi e che non servivano più a niente.
Era vero. I due alberi che segnavano il confine del cortile erano morti da mesi. Anche se le radici cercavano ancora vita sotto la terra, sui rami non cresceva più nulla. Le radici sono come le mamme che insistono fino alla morte nell'aiutare i figli in difficoltà, ma il cocciuto senso materno non bastava a far tornare i frutti sui rami rinsecchiti, e il verde del fogliame non ombreggiava più la casa nei giorni d'estate. Solo il melo, a tarda primavera, riusciva a mettere ancora tre foglioline su un ramo avvizzito, ma era una vita in apnea, di breve durata, e le foglie cadevano dopo pochi giorni.

"Sono anche brutti da vedersi" diceva mio padre mentre già stabiliva il giorno del taglio.
Evidentemente la decadenza cancella l'affetto nelle persone, altrimenti non saprei spiegare perché si portano i vecchi a spegnersi nella tristezza degli ospizi. E perché si decide che un albero morto non è più bello. Che non è più utile. Se la vecchiaia abbruttisce il corpo umano, nelle piante è diverso: un tronco secco, con lo scheletro fermo nel vento e i rami che graffiano l'aria, è una scultura bella e inquietante, che fa riflettere. Inoltre può ancora ospitare la sosta degli uccellini in volo. Eppure nei cortili, negli orti e nei giardini, gli alberi morti vengono abbattuti. Forse perché sta scritto da qualche parte: l'albero che non dà frutto va tagliato.

Per me il pero e il melo erano due vecchi e cari compagni. Si diventa amici di qualcuno o di qualcosa prima di tutto per iniziale simpatia. Poi il sentimento cresce nutrendosi col pane della vita. Diventerà forte dopo aver scambiato gioie, dolori, ansie, paure, odio, amore, ovvero emozioni. Peccato che con i nostri simili non duri molto: solo nella natura ho trovato l'intesa perenne, poiché la natura perdona sempre e sorride ai deleteri mutamenti dell'animo umano.
Assieme ai due alberi, ora minacciati dalla logica dell'uomo, avevo trascorso quel periodo di tempo fondamentale che va dall'infanzia all'adolescenza. Per me non erano morti. Erano nudi e malridotti ma non erano morti e mi parlavano ancora con voce che esprimeva una lingua misteriosa e dolce, sconosciuta alla moltitudine.

Giacevano distesi sulla vecchia terra nutrice, ridotti in pezzi sparpagliati alla rinfusa. Per me erano stati casa, cibo, montagna, volo, aria, gioco, freschezza, fatica, gioia, dolore, affetto, pioggia, vento. Tutta la terra sta rinchiusa in un albero.
Vibravano i tamburi della sera che annunciavano la via Crucis vivente. Nel paese si perpetua da secoli il rito che rievoca la morte di Cristo: all'imbrunire un uomo viene inchiodato su due tronchi d'albero incrociati. Quel giorno fu costruita una croce con legno di pero e di melo.

Incipit e selezioni tratte da un racconto contenuto in
" Il volo della martora"
di Mauro Corona

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Buoni propositi (su che ce la fate!)



www.natangelo.it

Con i "buoni propositi" mi sono voluto mantenere prudente: nessun buon proposito in particolare.
Sto bene così.
I dubbi, caso mai, erano tra alternative abbastanza ingombranti: migliorare me stesso, migliorare il mondo, salvare il pianeta ...?
Sono tutte cose per le quali non basta una vita, figuriamoci un anno.

Cercare di restare buono e tranquillo, invece, mi sembra una cosa tentabile. 
Sebbene in certi casi... con talune persone... sarà una vera e propria impresa!

Non importa: ci penserò strada facendo.

;-)

un abbraccio