Molti dei miei scatti distratti ritraggono porte, portoni e, non raramente, portacce sghembe e sbilenche, ritorte e rigonfie dall'incuria o dall'avverso trascorrere del tempo.
Sono questi i miei scatti forse meno distratti, perché sempre preceduti da un attimo di incanto e da una riflessione lenta e meditata che ritarda il momento vero e proprio dello scatto.
In quei contesti, lo sguardo sembra avere di meglio da fare che concentrarsi sugli aspetti tecnici dello scatto; e desidera soffermarsi a lungo, esplorare, restare lì a cogliere impressioni e significati.
Si dice ancora stare o essere ad uscio e bottega?
E' un'espressione che non ho più sentito da tanti anni e comunque sembra rimasta nei cuori di pochi: tanti, ormai, nemmeno sanno che, fino a neanche troppi anni fa, c'erano nei nostri paesi casupole, poco più che bugigattoli, con stanzini che sembravano ripostigli interiori, più in attinenza con il tempo dell'anima che con quello delle cose.
In uno di questi stambugi, tra un divanetto finto rococò e una stufa parigina, trovava posto un panchetto di attrezzi con bussetti e lesine, punteruoli, raspe e tutto quanto serviva a riparare, rattoppare o risuolare.
Ho sempre amato questo modo di essere a uscio e bottega, senza confini netti tra l'essere e il fare, tra una cosa e l'altra, una necessità materiale ed una non meno impellente urgenza del cuore.
Era come stare di casa in ogni cosa, senza intralci e impedimenti.
Era solenne il gesto che tirava il filo alla cera allo stesso modo di quello che portava la mano a posarsi sui capelli e a farsi poi carezza.
Almeno un po' di tutto questo sta negli usci e nelle botteghe poco distrattamente finite nei miei scatti distratti.
:-)
felice giornata
Nessun commento:
Posta un commento