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Una giusta causa (ovvero: Il ramarro fuori dal cappello)


Per quanto uno si arrabatti e s'ingegni - è un mio modestissimo parere, chiaro - se porta un ramarro nel cappello è facile che gli si veda la coda.
Talvolta son cose meno vistose di un ramarro. Potrebbero essere qualità o, più spesso, difetti connaturati, che si vedono - nel bene e nel male - alla stessa maniera del lacertide summenzionato, quando il cappello non basta a contenerlo per intero.
Le due cose - la qualità e il difetto - ci sono sempre, proprio come la luce e l'ombra, ma noi, per nostra compiacenza - e per un certo numero di complessi che non andrò ad elencare - amiamo mostrare le qualità - talvolta anche quando non siano proprio evidenti e chiare - e celare le nostre ammaccature, sconfortati da una sensazione di disequilibrio e dal conseguente caos intimo che in noi poi infuria e ci devasta.
La bestia furente - il ramarro interiore, chiamiamolo pure così - scuote la coda e rimesta in noi pensieri di perfezione che si conformano sul modello di quella inesauribile fucina di situazioni perfette che sono i media: tutti belli in una certa maniera, tutti intelligenti in un certo modo, tutti affermati e patinati come da copione, tutti bene in famiglia, riuniti - e sempre tutti sorridenti - intorno a un tavolo a sollazzarsi con i famigerati biscotti da primo mattino.

Basta.

Se il ramarro c'è che si veda pure!


Che si sappia: spesso ci stiamo sulle scatole!
Ancor più spesso, un gran bel botto di persone ci stanno sulle scatole.
Inoltre, capitano giornate in cui siamo a dir poco intrattabili e, se avessimo poco poco anche solo in parte le facoltà di un X-man, ci piacerebbe incenerire con uno sguardo chi proprio non riesce a rispettare la coda o quelli - i peggiori - che vanno in TV a dire che " la crisi...il lavoro...i lavoratori..." e poi ai lavoratori ci danno manganellate sulla testa, ci mettono il TFR in busta paga - che è una manganellata un po' diversa da quella consueta, più professionale e sottile.

Ma basta!

C'è un ramarro nel cappello?

Ma chi se ne frega, diciamolo ben scandito: non ci posso far niente, ho un caratteraccio e quando occorre "dispiacere è il mio piacere, io amo essere odiato".
Ma, soprattutto, io amo essere quello che sono perché so che c'è una speciale saggezza nell'accettare in noi stessi ogni luce e ogni ombra; guardare il faccia l'oscuro e dirgli "con te faremo i conti dopo!".
Oppure "stasera da te per una birra?"

;-)

- - -

Calmo, rilassato, distaccato, lontano dagli attaccamenti, sereno, beato, equilibrato: così immaginiamo l'uomo che ha conquistato la Saggezza. Credo che questa visione porti in sé una maledizione, un cattivo augurio, una concezione blasfema dell'anima e, soprattutto, una non conoscenza del Viaggio che dobbiamo fare nella vita. 
Credere nell'equilibrio come soluzione è quanto di più sbagliato esista e produce danni incalcolabili.
Ancora peggiore è l'idea che il saggio sia un uomo buono, un santo, che si è liberato del "brutto carattere", che sia premuroso, disponibile, altruista.

Siamo sempre l'uno e l'altro e siamo un processo in continua trasformazione.

Come ricorda un grande psichiatra americano, S. Kopp : "Sono me stesso perché vedo i lati indecisi, arroganti, incoerenti, accanto alla mia sicurezza, alla tenerezza, alla dolcezza, alla affettività".

Il primo vero passo verso la Saggezza è riconoscere come nostro quello che non ci piace di noi. E guardarlo con dolcezza. "

Raffaele Morelli

4 commenti:

  1. Teniamoci stretto il diritto di arrabbiarci.
    Dare il giusto sfogo a tutte le emozioni, nel momento e nel modo giusto è saggio e molto zen.
    Crogiolarsi nei rancori e reprimere quel che sentiamo, è dannoso.

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  2. Ben detto, Daffo! In chimica esiste una cosa che si chiama "equilibrio dinamico" : risolve molte cose. Immagino che si possa dire lo stesso della persona e della personalità: siamo un equilibrio dinamico, mai del tutto una cosa e mai del tutto l'altra. L'equilibrio bisogna mantenerlo così com'è perché, nella vita, solo gli organismi morenti perdono questo stato di (magari inquieta) grazia.
    ciao

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  3. Non riesco a guardare con dolcezza quello che non mi piace di me... soprattutto quando quello che non mi piace di me fa del male agli altri.. certo, involontariamente, ma detesto quella parte di me .. argh argh e per giunta la continuo a reiterare....non miglioro !!! argh argh............:( triplo argh

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    Risposte
    1. Perché, viola? Che vuol dire che non migliori? Non è che uno migliora se si incastra meglio con gli altri, se riduce gli attriti a forza di modellarsi sulle esigenze altrui, martellando sulle proprie preziose caratteristiche . Sarebbe impossibile accontentare tutti: mamma,babbo,amici,parenti,colleghi,vicini,zii d'america... e noi stessi, che diverremmo amorfi e scontenti di noi. Pensa che fatica dover essere un guanto buono per tutte le mani! E pensa,senti che dolcezza invece,che bel respiro dirsi "va bene così, vado bene così" scoprendo magari che il male, il dolore (così come il bene e l'amore) non sono cose che dipendono unicamente da quanto noi siamo "migliori"o "bravi"...
      A volte bisogna rivedere le proprie cose, sistemare bagagli, traslocare altrove, calibrare ingranaggi. Accade. Vorrei però rassicurarti: può essere anche quello un bel viaggio, se fatto con la persona giusta che sei.

      ;-)

      un abbraccio

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