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Una giusta causa (ovvero: Il ramarro fuori dal cappello)


Per quanto uno si arrabatti e s'ingegni - è un mio modestissimo parere, chiaro - se porta un ramarro nel cappello è facile che gli si veda la coda.
Talvolta son cose meno vistose di un ramarro. Potrebbero essere qualità o, più spesso, difetti connaturati, che si vedono - nel bene e nel male - alla stessa maniera del lacertide summenzionato, quando il cappello non basta a contenerlo per intero.
Le due cose - la qualità e il difetto - ci sono sempre, proprio come la luce e l'ombra, ma noi, per nostra compiacenza - e per un certo numero di complessi che non andrò ad elencare - amiamo mostrare le qualità - talvolta anche quando non siano proprio evidenti e chiare - e celare le nostre ammaccature, sconfortati da una sensazione di disequilibrio e dal conseguente caos intimo che in noi poi infuria e ci devasta.
La bestia furente - il ramarro interiore, chiamiamolo pure così - scuote la coda e rimesta in noi pensieri di perfezione che si conformano sul modello di quella inesauribile fucina di situazioni perfette che sono i media: tutti belli in una certa maniera, tutti intelligenti in un certo modo, tutti affermati e patinati come da copione, tutti bene in famiglia, riuniti - e sempre tutti sorridenti - intorno a un tavolo a sollazzarsi con i famigerati biscotti da primo mattino.

Basta.

Se il ramarro c'è che si veda pure!