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Il volo della martora


IL PERO E IL MELO

Quando venne deciso di abbattere il pero e il melo, ci rimasi male. Per più giorni tentai di convincere mio padre a lasciarli stare. Ma lui, mentre aspettava il calar della luna con la scure affilata, si ostinava a ripetere che erano secchi in piedi e che non servivano più a niente.
Era vero. I due alberi che segnavano il confine del cortile erano morti da mesi. Anche se le radici cercavano ancora vita sotto la terra, sui rami non cresceva più nulla. Le radici sono come le mamme che insistono fino alla morte nell'aiutare i figli in difficoltà, ma il cocciuto senso materno non bastava a far tornare i frutti sui rami rinsecchiti, e il verde del fogliame non ombreggiava più la casa nei giorni d'estate. Solo il melo, a tarda primavera, riusciva a mettere ancora tre foglioline su un ramo avvizzito, ma era una vita in apnea, di breve durata, e le foglie cadevano dopo pochi giorni.

"Sono anche brutti da vedersi" diceva mio padre mentre già stabiliva il giorno del taglio.
Evidentemente la decadenza cancella l'affetto nelle persone, altrimenti non saprei spiegare perché si portano i vecchi a spegnersi nella tristezza degli ospizi. E perché si decide che un albero morto non è più bello. Che non è più utile. Se la vecchiaia abbruttisce il corpo umano, nelle piante è diverso: un tronco secco, con lo scheletro fermo nel vento e i rami che graffiano l'aria, è una scultura bella e inquietante, che fa riflettere. Inoltre può ancora ospitare la sosta degli uccellini in volo. Eppure nei cortili, negli orti e nei giardini, gli alberi morti vengono abbattuti. Forse perché sta scritto da qualche parte: l'albero che non dà frutto va tagliato.

Per me il pero e il melo erano due vecchi e cari compagni. Si diventa amici di qualcuno o di qualcosa prima di tutto per iniziale simpatia. Poi il sentimento cresce nutrendosi col pane della vita. Diventerà forte dopo aver scambiato gioie, dolori, ansie, paure, odio, amore, ovvero emozioni. Peccato che con i nostri simili non duri molto: solo nella natura ho trovato l'intesa perenne, poiché la natura perdona sempre e sorride ai deleteri mutamenti dell'animo umano.
Assieme ai due alberi, ora minacciati dalla logica dell'uomo, avevo trascorso quel periodo di tempo fondamentale che va dall'infanzia all'adolescenza. Per me non erano morti. Erano nudi e malridotti ma non erano morti e mi parlavano ancora con voce che esprimeva una lingua misteriosa e dolce, sconosciuta alla moltitudine.

Giacevano distesi sulla vecchia terra nutrice, ridotti in pezzi sparpagliati alla rinfusa. Per me erano stati casa, cibo, montagna, volo, aria, gioco, freschezza, fatica, gioia, dolore, affetto, pioggia, vento. Tutta la terra sta rinchiusa in un albero.
Vibravano i tamburi della sera che annunciavano la via Crucis vivente. Nel paese si perpetua da secoli il rito che rievoca la morte di Cristo: all'imbrunire un uomo viene inchiodato su due tronchi d'albero incrociati. Quel giorno fu costruita una croce con legno di pero e di melo.

Incipit e selezioni tratte da un racconto contenuto in
" Il volo della martora"
di Mauro Corona

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Lo percepisco chiaramente, è proprio vero: tutta la terra sta rinchiusa in un albero! Penso addirittura che tutta la vita sia custodita in uno scrigno più ampio, la Natura. E soffro nel vedere sistematicamente maltrattati gli scenari che rendono bello e abitabile il nostro pianeta. Temo il giorno in cui all'uomo verrà finalmente in mente di dover correre ai ripari, spinto come sempre più dall'urgenza e dal bisogno che da una fondata consapevolezza. E già pare di vederlo, nobilmente atteggiato nel vano tentativo di riattare un sistema complesso quanto la sua mente, ma infinitamente più restio ad accondiscendere a collaborazioni e sistemazioni di comodo: la Natura non è fatta per cose à la fortune du pot!
Non sarà facile restituire alla Natura l'integrità che le viene sottratta con insaziabile cupidigia. Perché, a me pare, ha un'indole anch'essa e talvolta vibra festosa, si lascia prendere per mano e condurre, scalpita come certi puledri quando sentono nell'aria profumi familiari e amichevoli: sembra, allora, che voglia concedersi interamente ad ogni creatura, ad ogni petalo di fiore. E' generosa, benevole e priva di dolore.
Altre volte, invece, imbizzarrita come un mulo e offesa e straziata da mille ferite, non riesce ad abbozzare un sorriso, volge le spalle e fa da bastian contrario: rifiuta con sdegno l'offerta dei nostri benefici tardivi, consapevole forse più di noi del fatto che, ad accettare certe offerte, si finisce con lo svendersi.
Ha, la Natura, la dignità di un imperatore, la scaltrezza di uno zingaro ed un esiguo e sottile senso dell'ironia: non è portata per perdoni facili.
Ha scritto tutto questo negli alberi. Soprattutto negli alberi.
Noi, bambini in un altro secolo, non necessariamente un secolo fa, eravamo ancora fortunati a poterli scalare come fossero montagne, a cogliere sui rami i frutti generosi, a ripararci alla loro ombra negli afosi pomeriggi estivi e, quando riprendeva la scuola, li ritrovavamo come piangenti, perdutamente scompigliati. Un po' come noi.

Mi piacerebbe vedere più alberi nella mia città. 
E più bambini a giocare all'aperto.
Dove sono finiti i bambini e gli alberi?

Felice domenica
;-)

2 commenti:

  1. Gli alberi e i bambini ci sono ancora, è tutto quello che hanno aggiunto attorno che impedisce agli uni di raggiungere/abbracciare gli altri.

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    Risposte
    1. A dirti il vero, qui da me di alberi in città pochi e malmessi. Stessa cosa può dirsi per i parchi, le piste ciclabili, le zone pedonali, i parcheggi liberi... Potrebbe però andare peggio, diciamocelo. Solo che occorre un po' di fantasia per capire come: peggio come?!
      ;-)
      scherzo

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