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ShotoNijukun:precetto I

空手道は礼に始まり礼に終る事を忘るな
Karate-do wa rei ni hajimari, rei ni owaru koto wo wasuruna

1
 
Non dimenticare che
il karate-do comincia
e finisce con il saluto (rei)
 
 
Insieme al judo e al kendo, il karate-do è considerato una delle arti marziali giapponesi tradizionali. E come tutte le arti marziali deve iniziare e finire con il saluto (rei). Rei è spesso inteso come "rispetto", ma, in effetti, significa molto di più. Rei racchiude in sé sia l'attitudine di rispetto verso gli altri, sia un senso di rispetto verso se stessi. Quando si è in grado di rispettare se stessi e si trasferisce questo sentimento di stima, cioé di rispetto, verso gli altri, questa azione non è altro che espressione di rei.
Si usa dire "senza rei c'è disordine" e anche che " la differenza tra gli uomini e gli animali è nel rei". I metodi di combattimento dove non c'è il rei non sono arti marziali ma soltanto disdicevole violenza. La potenza fisica senza rei non è altro che forza bruta, e per gli esseri umani non ha alcun valore.
Si deve inoltre sottolineare che, anche comportandosi correttamente, se una persona non ha uno spirito sincero e rispettoso non possiede vero rei . Il vero rei è l'espressione esterna di uno spirito rispettoso.
Tutte le arti marziali cominciano con il rei . Se non vengono praticate con un senso di rispetto e di riverenza, esse si riducono a mere forme di violenza. Per questo motivo, nella pratica delle arti marziali si deve mantenere l'atteggiamento di rei dall'inizio alla fine.
 
tratto da
"I venti principi del Karate"
di Gichin Funakoshi
 
* Il commento al principio I è del M° Genwa Nakasone. Il Maestro Funakoshi ebbe modo di leggere e approvare i suoi commenti, raccolti nel testo citato in questo post edito da Edizioni Mediterranee.
* Post sullo stesso argomento : 1

Aggiornamenti e approfondimenti Taigo Sensei

Per ulteriori considerazioni sul primo precetto, vi rimando alla bella e ampia riflessione di Sensei  Paolo Taigo Spongia: qui

Il ritratto di Dorian Gray

CAPITOLO I


Lo studio era impregnato dell'intenso odore delle rose, e quando la leggera brezza estiva frusciava tra gli alberi del giardino, fluiva dal vano dell'entrata il greve odore di lillà o il più delicato profumo dell'eglantina.
Dal divano coperto di gualdrappe persiane su cui era sdraiato fumando, al suo solito, sigarette senza numero, Lord Enrico Wotton poteva cogliere lo splendore dei fiori dell'avorno, del color del miele, e come il miele dolci, i cui tremuli rami parevano sopportare appena il peso di una così fiammeggiante bellezza. A tratti l'ombra fantastica di un uccello in volo aliava lungo le pigre tende di seta tese davanti alla finestra immensa con un fuggitivo effetto giapponese, ricordandogli quei pittori di Tokio, dal viso di pallida giada, che pur valendosi di un'arte necessariamente statica cercano di dare il rapido effetto del mivimento. Il cupo ronzio delle api, che conducevano la loro via tra le lunghe erbe non falciate o giravano con monotona inesistenza attorno agli stami impolverati d'oro degli sparsi caprifogli, sembrava render più opprimente l'immobilità dell'ora. Il profondo ansito di Londra mugghiava come le note basse di un organo lontano.
In mezzo alla stanza, alto su un cavalletto, stava il ritratto a intera figura di un giovane di singolare bellezza, e di fronte ad esso, poco lontano, sedeva il pittore, Basilio Hallward, la cui improvvisa scomparsa alcuni anni fa suscitò tanto interesse nel pubblico e fece sorgere tante congetture.
Mentre il pittore contemplava la bella, preziosa forma ritratta dalla sua arte, un sorriso di compiacimento sfiorò il suo volto e parve indugiarvisi. Ma d'un tratto egli si alzò e, chiudendo gli occhi, si pose le dita sulle palpebre come per tenere in sé prigioniero qualche bizzarro sogno da cui temeva destarsi.
- E' la tua opera migliore, Basilio, la più bella cosa che tu abbia mai fatto, - disse Lord Enrico languidamente. - Devi assolutamente mandarla al Grosvenor l'anno prossimo. L'Accademia è troppo grande e troppo volgare: ogni volta che vi sono stato v'era tanta gente che non ho potuto vedere i quadri, il che è insopportabile, o tanti quadri che non ho potuto vedere la gente, e questo è anche peggio. In verità non vi è che il Grosvenor.
- Penso che non lo manderò in nessun luogo, - rispose l'altro gettando indietro la testa in quel bizzarro modo che lo faceva canzonare dai suoi compagni di Oxford. - No, non lo esporrò affatto.


tratto da
"Il ritratto di Dorian Gray"
di Oscar Wilde

L'esilio

Una tradizione ebraica racconta di alcuni giovani che chiedono a un anziano rabbino quando sia cominciato l'esilio di Israele. " L'esilio di Israele" risponde il rabbino" cominciò il giorno in cui Israele non ha più sofferto del fatto di essere in esilio". Il vero esilio non comincia quando si lascia la patria, ma quando non c'è più nel cuore la struggente nostalgia della patria.
APOLOGO EBRAICO



(...). L'uomo di oggi ha perso il gusto delle grandi attese, degli interrogativi radicali, degli ampi orizzonti. La perdita di questa nostalgia dell'infinito da cui proviene e a cui è destinato lo rende meschino, curvo sulle piccole cose (...). Aveva ragione lo scrittore moralista francese secentesco La Rochefoucauld quando dichiarava : "Chi si dedica troppo alle piccole cose diventa incapace delle grandi". In molti c'è ormai l'abitudine all'esilio, stanno bene nella banalità di un'esistenza priva di fremiti e di tensione, non attendono più un "oltre", cioé una meta più alta, una destinazione che non sia solo una qualsiasi stazione di passaggio. (...). Nel suo Discorso sulle scienze e sulle arti il famoso filosofo francese Jean-Jacques Rousseau osservava : "L'anima si proporziona insensibilmente agli oggetti che la occupano e quindi sono i grandi orizzonti quelli che fanno i grandi uomini".

tratto da
"Le parole e i giorni"
di Gianfranco Ravasi

Amore (Leo Buscaglia)

Leo Buscaglia è stato un autore che ho amato quasi passionalmente nella mia prima gioventù (attualmente non ricordo a quale stadio di "gioventù" io stia partecipando, ma la prima...è quella che si ricorda, no? Le successive si annotano soltanto.): parlava e scriveva come se intuisse le mie speranze, la mia ansia di bene per il mondo intero.
Ho smesso di leggerlo quando ho intuito che  la vita è ben altro peso e ben altra fatica che giurare amore eterno al puro sentimento. Tuttavia non mi pronuncio definitivamente sulla questione: devo riprendere in mano qualcuno dei bei libri che Leo Buscaglia ha scritto per poter chiudere la faccenda.

Verso l'amore

"Se il nostro proposito è quello di imparare ad "amarci", è importante che sappiate chi sono e a cosa miro. Il mio nome è   B-U-S-C-A-G-L-I-A, e lo si pronuncia come volete voi. Esordisco sempre raccontando questo piccolo episodio perchè lo trovo veramente delizioso. Tempo fa mi è capitato di fare una telefonata interurbana. La linea era sovraccarica e la centralinista ha detto che mi avrebbe richiamato. Le ho dato il mio nome, ho atteso un poco, dopo di che il telefono ha squillato. Quando ho sollevato il ricevitore ho udito la sua voce che diceva: "Per favore, potrebbe dire al dottor Boxcar che per il momento la sua linea è interrotta?". "Non sarà Buscaglia, invece?" ho detto io. E lei, con un risolino:"Be', signore, può essere più o meno tutto!".
Il mio nome mi diverte molto, perchè non è solamente Buscaglia. Se lo considerate per esteso, scoprite che è anche Leo F.
Ovverossia, per esteso, leonardo, mentre l'iniziale intermedia F. corrisponde in realtà al primo nome: Felice.
Non è fantastico? Felice Leonardo Buscaglia! Di recente, intendevo recarmi in visita nei paesi del blocco comunista e avevo bisogno di un visto. Ero a Los Angeles in un grande ufficio, impegnato a compilare un formulario estremamente circostanziato e ufficiale, che dovevo presentare a un funzionario; dopo di che sono stato invitato a sedere, in attesa di essere chiamato. Venuto il momento, ho visto il poveraccio alzarsi e scrutare il formulario;poi con una specie di reazione ritardata ha emesso un profondo sospiro, ha sollevato lo sguardo e ha detto:"Phyllis?". Giuro che risponderò a qualunque nome, tranne Phyllis. (1) "

(1) Pronunciato all'inglese "Felice" può suonare in effetti come "Phyllis", che è un nome femminile, così come "Buscaglia" può essere comicamente storpiato in "Boxear" (in inglese, "rimorchio" o "vagone-merci")

tratto da
"Amore"
di Leo Buscaglia

Letti e riletti: Le parole e i giorni

Premessa:
La lettura di questo libro , come anche di libri simili, mi affatica. Non sono fatto per gli assolutismi e per la trascendenza. Tuttavia, trovo che vi sia un piano che possa accomunare tutti gli uomini e mi immagino che giungano qui da tutte le parti della Terra, che qui convergano tutte le loro condizioni sociali. Mi piace pensare che, ai bordi di questo ipotetico piano, essi lascino gli zaini, gli ingombri, le ideologie e le fedi più disparate e...restino liberi di accostarsi gli uni agli altri disponendo della "sola" loro reciproca umanità.
Per cui, leggendo, mi sobbarco anche del peso di "tradurre" Dio, religione,fede...in una lingua a me più congeniale e che riassume tutte queste parole nel solo concetto di "rispetto per la vita".


19 novembre
SENZA CUORE

Un uomo può ignorare di avere un cuore;ma senza cuore, come senza religione, un uomo non può vivere.
LEV TOLSTOJ
Parole di un grande e "monumentale" scrittore russo, Tolstoj (chi non ricorda il suo Guerra e pace o Anna Karenina?) Nei suoi libri spesso questa frase ha una dimostrazione nelle vicende di vari personaggi che o senza cuore, gretti come l'avvocato Karenin, il marito di Anna, o depravati e disonesti come i nobili Kuragin, oppure sono puri, generosi, fedeli come la Natasa di Guerra e pace o il semplice soldato-contadino Platon Karataev dello stesso romanzo. Non di rado ai nostri giorni si esaltano figure capaci di essere impassibili e insensibili, pronte a passare indifferenti davanti alla sofferenza altrui, cinici nel programmare il proprio successo, anche a costo di calpestare ogni morale e ogni rispetto.
Ebbene, Tolstoj ci rammenta che non ha senso una vita senza il fremito della coscienza e senza il motore interiore di una fede. Certo, il cuore è un simbolo per indicare tante cose, compresa anche l'istintività o il sentimentalismo vago e sdolcinato. Ma nel suo significato più autentico è la vera cartina di tornasole dell'umanità. Bisogna aver paura di una persona senza cuore perchè è pronta a tutto: straccia non solo i sentimenti altrui, ma perde anche ogni dignità propria.
Un ecclesisastico che era pure un uomo politico francese del Seicento, il cardinale di Retz, alla fine della vita doveva confesasare che "nelle grandi cose lo spirito non è niente senza il cuore". Ritroviamo, allora, questo battito dell'anima che si intreccia, come ricorda Tolstoj, con la religione e, tra le molteplici reazioni che il cuore genera, non dimentichiamone una forse minore ma significativa: la tenerezza dolce e delicata, sobria e intensa. "

tratto da
Le parole e i giorni
di Gianfranco Ravasi

Letti e riletti: La lotta politica e sociale ad Andria...

Cap. I
La situazione politico-sociale nel secondo dopoguerra

"Caduto il fascismo nel luglio 1943 e ricostituitosi i partiti antifascisti nei Comitati di liberazione nazionale nel gennaio 1944 a Bari, anche Andria respirò la nuova "aria" democratica, con una lotta politica e sindacale così violenta ed intransigente, per le gravi differenze economiche tra classi sociali, che sfociò, purtroppo, in drammatiche e sanguinose rivolte.
In questo clima si riricostituirono le leghe contadine, le camere del Lavoro e i partiti politici. I frutti amari di una guerra perduta sono ben noti: il ritorno in patria degli ex-combattenti, degli ex-prigionieri e degli invalidi di guerra alla ricerca di una qualsiasi occupazione;la grave crisi degli alloggi, per quattro anni di blocco edilizio e sospensione degli sfratti;la grave carenza alimentare, i cui beni di prima necessità erano ancora distribuiti con la "tessera annonaria" , o venduti ad altissimo prezzo alla "borsa nera";scarsi e costosissimi i generi alimentari, e in particolare l'abbigliamento;reso irrisorio il recupero dei titoli di Stato, acquistati per aiutare la Patria in guerra;distrutti i risparmi, faticosamente realizzati prima della guerra, a causa della voragine inflattiva. Difficile la situazione sociale: da una parte la massa bracciantiledisoccupata, a cui si aggiungevano gli artigiani con scarsissimi guadagni, la classe impiegatizia con stipendi divenuti irrisori per l'inflazione, dall'altra i ricchi proprietari terrieri, che poco avevano rischiato a causa della guerra, e coloro che avevano approfittato, con il contrabando o con l'aumento vertiginoso dei prezzi, per arricchirsi alle spalle dei più deboli."

tratto da
La lotta politica e sociale ad Andria e i tumulti popolari del 1945 e 1946
di Pietro Petrarolo

La fame violenta

Il ritorno

Sono le ore 10:00 del 23 marzo del 1944, siamo a Bari nella sede del Circolo Matteotti, al primo piano di via Sagarriga Visconti 222; si stanno svolgendo i lavori del I Congresso dei Lavoratori agricoli della provincia di Bari. Nel centro-nord si combatte e si combatterà ancora per molto contro i tedeschi; il Mezzogiorno, finalmente libero, è invece sotto il controllo degli anglo-americani, ecco perchè in prima fila, a seguire l'assise, siede anche il maggiore Glenn E. Riddel, in rappresentanza della Commissione alleata di controllo; essere lì consente di cogliere le fasi evolutive di un dopoguerra politicamente incerto. La ricostruzione degli organismi rappresentativi dei lavoratori è la riprova più evidente e incoraggiante della caduta del regime fascista e del graduale ritorno alla democrazia. Gli aspetti più genuini e spontanei di questo clima si colgono nel verbale del Congresso che vede intrecciarsi i sentimenti legati alle speranze del nuovo con i tristi richiami agli anni della dittatura costata fame e sangue soprattutto alle fasce più deboli, carne da macello per le follie belliche"

tratto da
"La fame violenta"
di Raffaele Pirro

Parla chiaro

Sto ultimando in questi giorni la rilettura de "L'avventura d'un povero cristiano", di Ignazio Silone. Mi ripropongo di commentare questo bel libro più in là ma, da subito, volevo proporvi un breve passo dal libro. Per comprendere meglio la situazione ricordo che Celestino V è appena stato nominato papa. Da pochi giorni si trova  nella sua residenza provvisoria "in Castelnuovo presso il Molo, a Napoli".Deve concedere udienza ai predicatori napoletani designati per l'Avvento. Di loro Celestino non pensa un gran bene ("i predicatori napoletani sono dei famosi chiacchieroni, e io non sono preparato ad affrontarli") e dunque cerca di rinviare l'udienza. Ma poi...

La tentazione del potere

" Procedendo sul nostro sentiero incontriamo un vecchio contadino che cerca erbe medicinali e conversiamo con lui. Egli ci racconta che in gioventù andò pellegrino alla Santa Casa di Loreto e, benchè noi non lo mettiamo in dubbio, egli si denuda un braccio per mostrare il tatuaggio turchino che lo attesta. Fu anche al cosiddetto "pellegrinaggio delle sette montagne" che fa capo al santuario della Trinità, sopra Subiaco.

Una volta, a suo dire, questi due pellegrinaggi erano, almeno in Abruzzo, un obbligo di coscienza per i buoni cristiani. In quanto a San Pier Celestino, o come si chiama, lui gli fa tanto di cappello, non ci mancherebbe altro, ma, ci confida, non è mai riuscito a sapere quali siano le sue competenze e perciò non ha saputo mai come regolarsi: in altre parole, nessuno gli ha mai chiarito per quali grazie o favori conviene pregarlo.

Egli può aiutarti, cerco di spiegargli, a salvarti dalla tentatzione del potere.

Quando infine capisce il senso del mio consiglio, egli è preso da un'ilarità a non finire.

Poi dice con gravità : - Allora è un santo non per noi poveracci, ma per i preti "


.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

tratto da
L'avventura d'un povero cristiano
di Ignazio Silone

L'avventura di un povero cristiano


INIZIO DI UNA RICERCA


L'Aquila

"In provincia i segreti hanno vita breve. Ai piedi dello scalone della biblioteca provinciale ho incontrato un amico letterato che mi ha subito interpellato ridendo:
- Non vuoi mica darti al genere storico?
- Ne sarei incapace - gli ho risposto credendo di poter tagliare corto. - Sai bene che ogni mio interesse, come scrittore, è rivolto al presente.
- E' vero - egli mi ha replicato - ma non hai scritto tu stesso che certe realtà  del presente hanno radici lontane?
  La finzione è durata poco. L'amico già sapeva della mia visita di ieri a un archivio della città per esaminarvi alcuni cimeli riguardanti Celestino V. Pare anzi che la notizia abbia suscitato qualche curioso commento nel piccolo ambiente locale dei miei conoscenti. L'amico si fa bello col riferirmi la sua argomentazione in mio favore, citando a memoria da un mio saggio sulla narrativa e il "sottosuolo" meridionale, in cui, da Carlo Cafiero e gli anarchici di oggi, risalgo fino a Gioacchino da Fiore.
- Hai ragione - gli confermo. - Sarà un lavoro di scavo.
- Come spieghi - insiste l'altro - che un tema così appassionante non sia stato mai trattato da letterati italiani? Sì, vi accennò Dante; ne trattò con enfasi ammirevole il Petrarca; ma dopo? Non Alfieri, non Manzoni...
- La problematica etico-religiosa divenne tabù - cerco di rispondere. - Abbiamo avuto il Rinascimento e poi il Concilio di Trento.
- Un tabù nostrano - aggiunge l'amico. - George Sand ha scritto Spiridion ispirandosi a Gioacchino da Fiore. Anche Lessing s'interessò all'abate calabrese.
  Ci siamo incamminati verso la basilica di santa Maria di Collemaggio, dove stamane avrà luogo la solita commemorazione annuale dell'incoronazione di Celestino V, e strada facendo abbiamo continuato a chiacchierare. "

tratto da
L'avventura d'un povero cristiano
di Ignazio Silone


Ho letto per la prima volta questo libro molto (molto) tempo fa. Avevo allora 21 anni e poca dimestichezza con certe profondità. Infatti mi smarrii ben presto e non credo di aver tratto molto insegnamento da una lettura che presupponeva un certo grado di maturità a me ben poco noto allora.
Adesso, cogliendo al volo  l'opportunità offertami dai prossimi giorni speciali, mi sono ripromesso di riprendere in mano il vecchio libro e di porgere  miglior orecchio alle parole di chi ha cercato il papa riluttante, Celestino V, nella sua stessa terra. Conto di visitare (finalmente) l'eremo di Sant'Onofio al Morrone, il vero rifugio di colui che " fece per viltade il gran rifiuto" , secondo Dante.
Alla ricerca anch'io del cuore di Celestino V.

:-)

Poliziotti fuori


Niente che non si sia già visto in altri film simili.
La "strana coppia" funziona come sempre ma non dice nulla di nuovo.
Rilassante, a volte divertente,si guarda senza sbadigliare.

***/5

L'albero della vita

" L'uomo è l'unico essere vivente insoddisfatto della sua natura. Lo è sempre stato, anche nel più remoto passato, tant'è vero che ha immaginato degli esseri immortali e felici: gli dei. Solo chi è fragile, infelice, mortale, e non vuol esserlo, può immaginare qualcuno che non lo è e considerarlo più reale di se stesso. Gli dei sono sempre stati ciò che l'uomo sentiva che avrebbe dovuto essere, la parte più profonda, più vera, più nobile di sé. Per pensare a se stesso, l'uomo ha dovuto sdoppiarsi: da un lato il suo io, miserabile e mortale, e dall'altro la divinità. Questa sua natura mortale l'uomo non l'ha mai accettata completamente anche se l'ha subita, se ha cercato, in ogni modo, di farsene una ragione, di darsi una spiegazione di ciò che "gli è successo" venendo al mondo, intelligentissimo e fragile, capace di pensare ad un tempo infinito e, nel contempo, condannato alla vecchiaia e alla morte.
L'uomo si è accorto subito che la sua vita è, rispetto a ciò che egli può immaginare, incredibilmente breve, addirittura qualche cosa di assurdo, uno "scherzo di natura". Noi siamo abituati ai lamenti dei poeti e dei filosofi sul tempo che fugge, che vola in un attimo, alla vita che sembra trascorsa in un istante, da considerarle cose banali e noiose. ma spesso ciò che è veramente importante è proprio ciò che è più ovvio, più risaputo, più banale. Se, da che mondo è mondo, gli uomini si sono sempre lamentati della brevità della loro vita, se hanno continuamente ripetuto che questa vita è un istante e niente più, vuol dire che questa è un'esperienza fondamentale, essenziale, primordiale e ricorrente. Noi non possiamo considerarla come un errore, o un lamento, o una esagerazione. Se c'è vuol dire che ha una ragione ed una ragione profonda. Questo è il nostro punto di partenza: l'uomo è insoddisfatto della sua natura ed ha una ragione per esserlo, una ragione importante. "

Incipit da:
L'ALBERO DELLA VITA
di Francesco Alberoni


N.B.: Da questo post, cercherò, potendo, di allegare le copertine dei libri da cui traggo i miei incipit, dal momento che credo che un libro parli di sé ancor prima di essere aperto. Come potete vedere, questo è un libro che ho molto letto, molto sottolineato e molto amato. Uno dei miei primissimi libri "formativi".

Ciao
;-)

World on Fire


Banale, non credibile, ingenuo.
Per fortuna adesso lo so!
Gary Dourdan ce la mette tutta e alla fine riesce a salvare sua moglie.
Il film, invece, non riesce a salvarlo nemmeno lui.

°/5

The American


Clooney riveste i panni di un killer molto abile nella fabbricazione di armi ad alta precisione.
Il film è un pò melodrammatico. Ambientato tra Svezia e Italia (Abruzzo) ... ma non so ben capire in quale Italia, forse nella consueta Italia vista dagli americani, piena di stereotipi datati.
Felice di apprendere che la produzione di questo film ha comunque giovato, indirettamente, alla gente di Abruzzo.

**/5

The Road


La pioggia post-nucleare scolora il mondo, cancella il volo degli uccelli, abbatte gli alberi.
La crudeltà umana riaffiora e regna sovrana.
Un padre e suo figlio. Un padre che cammina al fianco dell'ultimo suo dio.
Una strada che potrebbe condurli a sud, finalmente verso altri uomini che portano anch'essi acceso dentro di sé un fuoco umano.
 Ma c'è poco tempo per insegnare.
Poco tempo per imparare.

Cupo. Ossessivo.

" Non ti può succedere niente. Ci sono io a proteggerti. Ammazzerò chiunque provi a toccarti.
E' questo il mio compito!"

***/5

Tre uomini in barca (per tacere del cane) - di Jerome K. Jerome

"Eravamo in quattro: George, William Samuel Harris, io e Montmorency. Seduti nella mia camera, fumavamo e parlavamo delle nostre cattive condizioni... cattive dal punto di vista sanitario, s'intende.
Ci sentivamo tutti depressi e cominciavamo a innervosirci per questo. Harris disse che, in certi momenti, gli venivano degli attacchi di vertigini, tali da togliergli la cognizione di quel che stava facendo; allora George disse che, anche lui , andava soggetto ad attacchi di vertigine e che, anche lui,in quei momenti, sapeva a malapena quel che si faceva. Per quanto riguarda me, avevo il fegato in disordine. sapevo che si trattava del fegato perchè avevo appena letto nella circolare pubblicitaria di certe pillole per il fegato la descrizione dei vari sintomi in base ai quali chiunque poteva accorgersi di avere il fegato ammalato. Io li avevo tutti.
E' una cosa straordinaria, ma non mi succede mai di leggere la pubblicità di un prodotto medicinale senza essere portato a concludere che soffro proprio del malanno che la pubblicità descrive, e nella sua forma più violenta. In ogni singolo caso, la diagnosi sembra corrispondere con esattezza a tutte le sensazioni da me provate.
Ricordo di essere andato un giorno alla biblioteca del Museo Britannico per documentarmi sulla cura di non so quale lieve malanno di cui soffrivo...febbre del fieno, se ben ricordo. Presi un trattato di medicina e lessi tutto ciò che mi riguardava. POi, senza riflettere, voltai le pagine e cominciai a scorrere distrattamente la descrizione di altre malattie. Non so più quale fosse il primo malanno sul quale mi soffermai... qualcosa di terribile, di micidiale, però...ma prima di essere arrivato a metà dell'elenco dei "sintomi premonitori", ero fortemente convinto di essere affetto da quella malattia.
Rimasi a lungo paralizzato dal terrore; poi, con l'indifferenza della disperazione, cominciai a voltare le pagine del libro. Giunsi alla voce tifo, lessi i sintomi, constatai che avevo il tifo e che dovevo averlo da mesi e mesi, senza saperlo... e mi domandai che altro potevo avere addosso; passai al ballo di San Vito e scoprii, come prevedevo, di avere anche quello. Comincia a interessarmi del mio caso e, deciso ad andare fino in fondo, ricomincia daccapo, in ordine alfabetico. lessi la descrizione della malaria e seppi che l'avevo in pieno; lo stadio acuto sarebbe cominciato di lì a una quindicina di giorni. Quanto al morbo di Bright, constatai con sollievo che l'avev0o soltanto in forma attenuata e che, se fosse stato soltanto per quello, avrei potuto vivere ancora per qualche anno.
Il colera l'avevo, con gravi complicazioni; quanto poi alla difterite, sembrava addirittura che l'avessi dalla nascita. Esaminai coscenziosamente tutte le voci dal principio alla fine dell'alfabeto e potei concludere che la sola malattia dalla quale non ero affetto era "il ginocchio della lavandaia".
Mi sentii quasi offeso, sulle prime; in certo qual modo mi pareva un affronto. Perchè non avevo il ginocchio della lavandaia? Perchè quella menomazione? Ben presto, però, prevalse in me uno stato d'animo meno avido. Riflettei che avevo tutti gli altri malanni noti alla scienza medica e, reprimendo l'egoismo, decisi di rassegnarmi a non avere il ginocchio della lavandaia."

tratto da
Tre uomini in barca (per tacere del cane)
di Jerome K. Jerome

Un libro perfetto da leggere in riva ad un fiume o sul lago. Per i più temerari anche al mare. Buonumore garantito.
:-)

I sommersi ed i salvati

" le prime notizie sui campi d'annientamento nazisti hanno cominciato a diffondersi nell'anno cruciale 1942. Erano notizie vaghe, tuttavia fra loro concordi:delineavano una strage di proporzioni così vaste, di una crudeltà così spinta, di motivazioni così intricate, che il pubblico tendeva a rifiutarle per la loro stessa enormità.  E' significativo come questo rifiuto fosse stato previsto con ampio anticipo dagli stessi colpevoli; molti sopravvissuti (tra gli altri, Simon Wiesenthal nelle ultime pagine di Gli assassini sono fra noi, Grazanti, Milano 1970) ricordano che i militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: " In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l'abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma anche se qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perchè noi distruggeremo le prove insieme con voi. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi, che negheremo tutto, e non avoi. La storia dei Lager, saremo noi a dettarla".
Curiosamente, questo pensiero ("se anche raccontassimo, non saremmo creduti") affiorava in forma di sogno notturno dalla disperazione dei prigionieri. Quasi tutti i reduci, a voce o nelle loro memorie scritte, ricordando un sogno che ricorreva spesso nelle notti di  prigionia, vario nei particolari ma unico nella sostanza: di essere tornati a casa, di raccontare con passione  e sollievo le loro sofferenze passate  riolgendosi ad una persona cara, e di non essre creduti,anzi, neppure ascoltati. Nella forma più tipica ( e più crudele), l'interlocutore si voltava e se ne andava in silenzio. (...) . Fortunatamente le cose non sono andate come le vittime temevano e come i nazisti speravano. "

tratto dalla prefazione a
"I sommersi e i salvati"
di Primo Levi

Il Gabbiano Jonathan Livingston (Richard Bach) - Per Antonella

" Era di primo mattino, e il sole appena sorto luccicava tremolando sulle scaglie del mare increspato.
A un miglio dalla costa un peschereccio arrancava verso il largo. E fu data voce allo Stormo. E in men che non si dica tutto lo Stormo Buonappetito si adunò, si diedero a giostrare ed accanirsi per beccare qualcosa da mangiare. Cominciava così una nuova giornata.
Ma lontano di là solo soletto, lontano dalla costa e dalla barca, un gabbiano si stava allenando per suo conto: era il gabbiano Jonathan Livingston. Si trovava a una trentina di metri d'altezza: distese le zampette palmate; aderse il becco, si tese in uno sforzo doloroso per imprimere alle ali una torsione tale da consentirgli di volare lento. E infatti rallentò tanto che il vento divenne un fruscio lieve intorno a lui, tanto che il mare ristava immoto sotto le sue ali. Strinse gli occhi, si concentrò intensamente, trattenne il fiato, compì ancora uno sforzo per accrescere solo...d'un paio...di centimetri...quella...penosa torsione e...D'un tratto gli si arruffarono le penne, entra in stallo e precipita giù.
I gabbiano, lo sapete anche voi, non vacillano, non stallano mai. Stallare, scomporsi in volo, per loro è una vergogna, è un disonore"

tratto da
"Il gabbiano Jonathan Livingston"
di Richard Bach

Il matrimonio moderno (Karen Blixen)

" Dal deserto di Darwin arrivai, ancora giovane, nei giardini rigogliosi di Lamarck. Che frutti c'erano su quegli alberi! Tutto ciò che l'umanità ha visto nei suoi sogni più radiosi: bellezza, sapere, giovinezza eterna - proprio tutto quello che vuoi.
Se mai tu riuscissi a immaginarti una nuova perfezione, a concepire un desiderio inconsueto e a pensare seriamente a qualcosa che sia davvero desiderabile - allora guarda in alto! E' già lì, appeso ai verdi rami.
Che si trovi un pò in alto è solo uno scherzo, una lieve burla, come quella di una madre che appende un cartoccio così in alto sull'albero di Natale che il suo bambino deve protendersi il più possibile per afferrarlo. Finora nulla è stato irraggiungibile. Basta rispondere a quest'unica domanda: di che cosa hai voglia?
La legge è sempre la stessa: quello che desideri lo otterrai."

Karen Blixen
in
"Il matrimonio moderno"

Erich Fromm : Il linguaggio dimenticato

Se è vero che la capacità di dubitare è il principio della saggezza, tale verità è una triste considerazione sulla saggezza dell'uomo moderno. Quali che siano i meriti della nostra cultura letteraria e universale, è certo che abbiamo perso la facoltà di dubitare. Si presume che tutto sia noto - se non proprio a noi stessi, almeno ad alcuni specialisti incaricati di sapere ciò che è a noi sconosciuto. Infatti, l'essere perplessi è una sensazione sgradevole - un segno di inferiorità culturale. Perfino i bambini si meravigliano di rado, o per lo meno cercano di non darlo a  vedere; e con l'andare degli anni perdiamo gradualmente la facoltà di meravigliarci. Si considera di importanza capitale l'ottenere risposte esatte, mentre il formulare domande esatte viene a paragone considerato insignificante.
Questo nostro atteggiamento spiega forse perchè uno dei più oscuri fenomeni della nostra esistenza, cioè i sogni, susciti così poca meraviglia e raramente ci stimoli a porci altre domande. Tutti sognamo e non comprendiamo i nostri sogni;eppure ci comportiamo come se alle nostre menti immerse nel sonno non accadesse nulla di strano, per lo meno a confronto del comportamento logico e intenzionale della nostra mente quando siamo svegli.
Quando non dormiamo siamo esseri attivi, razionali, tesi nello sforzo di raggiungere ciò che ci siamo prefissi e pronti a difenderci da ogni eventuale attacco. Si agisce e si osserva; si vedono le cose che ci circondano, forse non come in effetti sono, ma almeno in modo tale da potercene servire e da poterle, al caso, modificare. Ma siamo anche dotati di scarsa fantasia e ben raramente - fatta eccezione per i bambini e per i poeti - la nostra immaginazione si spinge al di là della ripetizione di vicende e trame che fanno parte della nostra effettiva esperienza. In poche parole siamo efficienti, ma piuttosto squallidi. definizmo "realtà" il campo della nostra osservazione quotidiana e siamo orgogliosi del nostro "realismo" e della nostra abilità di servircene.
Eppure, all'atto di addormentarci ci immergiamo in un'altra forma di esistenza. Sognamo.

tratto da:
" Il linguaggio dimenticato "
di
Erich Fromm

Era ieri (E.Biagi)

Mi manchi                   

     Le mie letture    

"Sono nato a Pianaccio tanto tempo fa, il 9 agosto 1920. Per la cronaca a mezzogiorno, almeno così ha sempre raccontato mia madre, e mio padre, in un eccesso di orgoglio per aver avuto il primo primogenito maschio, si affacciò alla finestra che dava sulla strada per mostrare il neonato. La mia famiglia era stata benestante, ma quando io nacqui delle fortune di una volta non era rimasto niente: il babbo faceva l'operaio a Bologna, vicecapomagazziniere allo zuccherificio, tornava ogni tanto e io stavo a Ca' d' Babon con la mamma e il nonno Marco.

Sono stati, quelli dell'infanzia, anni felici. Il nonno Marco mi raccontava le storie di quando andava a fare il carbone in Sardegna e mi parlava dei tempi in cui a Pianaccio capitavano i briganti, scappavano dallo Stato Pontificio per andare a cercare rifugio verso Modena o verso Pistoia. Alloggiavano alla locanda dell'Olimpia, avevano barbe nere e lo sguardo di chi ha la febbre, mangiavano senza alzare gli occhi dal piatto.

Le storie del nonno forse erano vere o forse erano romanzate, mi affascinavano molto, una era ricorrente: " Una notte capitò un giovane biondo, che i gendarmi cercavano, aveva tentato di rapire una monaca dal convento di clausura della Beata Imelde, ma era stato scoperto e per fuggire da Bologna aveva ammazzato una sentinella al Cassero di Porta Saragozza. Lo presero, sfinito, in una capanna di boscaioli, verso i bagnadori. Una spiata. Lo riportarono indietro legato. Raccontava quello che era accaduto senza emozione. "Dovevo difendermi" disse. "Lei era d'accordo, ma adesso chi sa dove la manderanno". Lo impiccarono a Vergato, al balcone del municipio."

tratto da
"Era Ieri"
di
Enzo Biagi
(a cura di Loris Mazzetti)

Il piccolo principe (A. de Saint-Exupéry)

Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali, intitolato "Storie vissute della natura", vidi un magnifico disegno. Rappresentava un serpente boa nell'atto di inghiottire un animale. Eccovi la copia del disegno. C'era scritto: "I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla. Dopo di che non riescono più a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede."
Meditai a lungo sulle avventure della jungla. E a mia volta riuscii a tracciare il mio primo disegno. Il mio disegno numero uno. Era così:
Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno le spaventava. Ma mi risposero: "Spaventare? Perchè mai uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?" Il mio disegno non  era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. Affinchè vedessero chiaramente che c0s'era, disegnai l'intero boa. Bisogna sempre spiegarle le cose, ai grandi. Il mio disegno numero due si presentava così:
Questa volta mi chiesero di lascare da parte i boa, sia di fuori che di dentro, e di applicarmi invece alla geografia, alla storia, all'aritmetica e alla grammatica. Fu così che a sei anni io rinunziai a quella che avrebbe potuto essere la mia gloriosa carriera da pittore. Il fallimento del mio disegno numero uno e del mio disegno numero due mi avevano disanimato. I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta. Allora scelsi un'altra professione e imparai a pilotare gli aeroplani. Ho volato un pò sopra tutto il mondo: e veramente la geografia mi è stata molto utile. A colpo d'occhio posso distinguere la CIna dall'Arizona, e se uno si perde nella notte, questa conoscenza è di grande aiuto.
Ho incontrato molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. Ma l'opinione che avevo di loro non è molto migliorata.
Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l'esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di scoprire così se era veramente una persona che capiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: "E' un cappello."
E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di aver incontrato un uomo tanto sensibile.

tratto da
"Il piccolo principe"
di
Antoine de Saint-Exupéry

Capire l'evoluzione

Scopo dell'evoluzionismo è di ricostruire i cambiamenti avvenuti negli organismi viventi dalla nascita della vita sulla Terra e di comprendere perché questi cambiamenti siano avvenuti e quali siano le cause che li hanno provocati. E' necessaria quindi una paziente ricostruzione di eventi che risalgono almeno a tre miliardi e mezzo di anni fa. Dobbiamo quindi vedere prima di tutto quali siano i metodi che ci possono dare qualche informazione sul come e sul perché si sono svolti gli eventi evolutivi. Cercheremo quindi di esaminare brevemente le varie possibilità e di valutarne la relativa importanza.

Lo studio dei reperti fossili. Studiare le tracce che esseri viventi nel passato hanno lasciato sulla Terra è stato uno dei metodi preferiti dagli studi evoluzionistici. Questi studi ci hanno detto fondamentalmente che la vita nel tempo è andata sula Terra progressivamente complicandosi, ma non credo tuttavia che ci possiamo attendere da essi molte nuove informazioni. Il metodo soffre di molti evidenti difetti. prima di tutto c'è il fatto ben noto che i resti fossili, mentre sono relativamente abbondanti dal Cambriano in poi (cioè da circa 600 milioni di anni), divengono estremamente scarsi prima di quel periodo. Il perché ci sia questa eccezionale comparsa di forme e di generi diversi che hanno lasciato residui fossili nel Cambriano è cosa di estremo interesse e che va spiegata, tuttavia dobbiamo anche accettare l'idea che probabilmente non ricaveremo molte notizie dallo studio di organismi fossili molto antichi.
Fra l'altro bisogna considerare che una delle possibili spiegazioni dell'eccezionale fioritura di fossili nel Cambriano è che vari ordini di animali abbiano acquisito, contemporaneamente o quasi, la capacità di sintetizzare un esoscheletro: ciò ne avrebbe facilitato la conservazione.

tratto da
"Capire l'evoluzione"
di
Giorgio Morpurgo

Frankenstein (M. Shelley)

San Pietroburgo, 11 dicembre 17...

Gioirai nell'apprendere che nessun disastro ha accompagnato l'inizio di un'impresa cui hai associato i più neri presentimenti. Sono giunto qui ieri e la mia prima cura è quella di rassicurarti, cara sorella, del mio ottimo stato di salute e della crescente fiducia nel successo di ciò che ho intrapreso.
Mi trovo già molto a nord rispetto a Londra; quando passeggio per San Pietroburgo sento una fredda brezza di settentrione che mi accarezza le guance, rinvigorisce i miei nervi e mi riempie di piacere. Riesci a immaginare una tale sensazione? Questa brezza proviene dalle regioni verso cui sto per dirigermi e mi fornisce un assaggio di quei gelidi climi. Animate da questo vento di speranza le mie fantasticherie si fanno più fervide e vivide. Invano cerco di persuadere me stesso che il polo è la regione del gelo e della desolazione: alla mia immaginazione esso continua a presentarsi come la dimora del piacere e della bellezza. Là, Margaret, il sole è sempre visibile: col suo enorme disco esso lambisce l'orizzonte e diffonde uno splendore perenne. Al polo - col tuo permesso, rorella mia, concederò un pò di credito ai marinai che ci sono già stati - al polo neve e gelo sono banditi; navigando su un mare calmo potremo essere sospinti verso una terra così bella da superare le meraviglie di ogni altra regione mai scoperta sulla parte abitabile del globo. Una terra dalle caratteristiche senza eguali, come senza eguali saranno i fenomeni dei corpi celesti osservabili nelle sue sconosciute distese solitarie. Cosa non ci si può attendere da un paese di luce eterna? Lì potrei scoprire lo straordinario potere che attira l'ago e ricavare un ordine dalle migliaia di osservazioni sugli astri, le cui apparenti incongruenze quest'unica spedizione sarà sufficiente a chiarire una volta per tutte. Sazierò la mia ardente curiosità con la vista di una parte del mondo mai esplorata prima d'ora e potrò calpestare un suolo mai segnato da impronta d'uomo.


tratto da
"Frankenstein"
di Percy Bysshe Shelley

La casta (G.A.Stella - S.Rizzo)

Una oligarchia di insaziabili bramini
Da Tocqueville a De Gregorio: la deriva della classe politica

La pianeggiante Comunità montana di Palagiano è unica al mondo: non ha salite, non ha discese e svetta a 39 (trentanove) metri sul mare. Con un cucuzzolo, ai margini del territorio comunale, che troneggia himalaiano a quota 86. Cioè 12 metri meno del campanile di San Marco. Vi chiederete: cosa ci fa una Comunità montana adagiata nella campagna di Taranto piatta come un biliardo?
Detta alla bocconiana, l'ente pubblico pugliese ha due mission. Una è dimostrare che gli amministratori italiani, che già s'erano inventati in Calabria un lago inesistente a Piano della Lacina e un'immensa tenuta di ulivi secolari nel mare (catastale) di Gioia Tauro, possono rivaleggiare in fantasia con l'abate Balthazard che si inventò l'"isola dei filosofi" dove non esisteva un governo perché i suoi abitanti non riuscivano a decidere insieme quale fosse "il sistema meno oppressivo e più illuminato". L'altra è distribuire un pò di poltrone. Obiettivo assai più concreto della salvaguardia di un borgo alpino o della sistemazione di una mulattiera appenninica.
Certo, le Comunità montane sono solo un pezzetto della grande torta. Mapossono aiutare meglio di ogni altra cosa a capire come una certa politica, o meglio la sua caricatura obesa, ingorda e autoreferenziale, sia diventata una Casta e abbia invaso l'intera società italiana. Ponendosi sempre meno l'obiettivo del bene comune e della sana amministrazione per perseguire piuttosto quello di alimentare se stessa. Obiettivo sempre più disperato e irraggiungibile via via che la bulimia ha contagiato tutti: deputati, assessori regionali, sindaci, consiglieri circoscrizionali, assistenti parlamentari, portaborse e reggipanza. Fino a dilagare, nel tentativo di strappare metro per metro nuovi spazi, nelle aziende sanitarie, nelle municipalizzate, nelle società miste, nelle fondazioni, nei giornali, nei festival di canzonette e nei tornei di calcio rionali... Una spirale che non solo fa torto alle migliaia di persone perbene, a destra e a sinistra, che si dedicano alla politica in modo serio e pulito. Ma che è suicida: più potere per fare più soldi, più soldi per prendere più potere e ancora più potere per fare più soldi...

tratto da
La Casta
di G.A. Stella e S. Rizzo

Un altro Incipit che devo forzarmi di non protrarre oltre il consentito. Se potete, leggetelo questo libro documetatissimo e ben scritto. Certo ne trarrete beneficio, a dispetto di una realtà, quella politica italiana, che non concede molte ragioni per "godersela". Tuttavia il libro è bello, scritto molto bene e permette certamente di poter vedere la realtà quotidiana con occhi diversi, con maggior coscienza dei meccanismi che governano il nostro comune vivere quotidiano.

Diario (Anna Frank)

Domenica, 14 giugno 1942

Venerdì 12 giugno ero già sveglia alle sei: si capisce, era il mio compleanno! Ma alle sei non mi era consentito d'alzarmi, e così dovetti frenare la mia curiosità fino alle sei e tre quarti. Allora non potei più tenermi e andai in camera da pranzo, dove Moortje, il gatto, mi diede il benvenuto strusciandomi addosso la testolina.
Subito dopo le sette andai da papà e mamma e poi nel salotto per spacchettare i miei regalucci. Il primo che mi apparve fosti tu, forse uno dei più belli fra i miei doni. Poi un mazzo di rose, una piantina, due rami di peonie: ecco i figli di Flora che stavano sulla mia tavola quella mattina;altri ancora ne giunsero durante il giorno.
Da papà e mamma ebbi una quantità di cose, e anche i nostri numerosi conoscenti mi hanno veramente viziata. Fra l'altro ricevetti un gioco di società, molte ghiottonerie, cioccolata, un puzzle, una spilla, la Camera obscura di Hildebrand, le Leggende olandesi di Joseph Cohen, le Vacanze in montagna di Daisy, un libro straordinario, e un pò di denaro, così che mi potrò comperare i Miti di Grecia e di Roma. Che bellezza!
Poi Lies venne a prendermi e andammo a scuola. nell'intervallo offrii dei biscottini ai professori e ai compagni e poi ci rimettemmo al lavoro.
Ora devo smettere di scrivere. Diario mio, ti trovo tanto bello!

tratto da
Diario
di Anna Frank

Arte nuova di pensare (J. Guitton)

DEDICA
Quando gli autori antichi scrivevano qualche opera orientata alla formazione dello spirito o dei costumi, erano soliti dedicarla a un personaggio vivente. Aristotele compone la sua Etica per Nicomaco e per Eudemo; i loro nomi ricorrono così di frequente nelle sue opere che ancora oggi servono per designarle. Seneca consola Elvia, che è sua madre. San Francesco di Sales conversa con Filotea, nella sua famosa Introduzione alla vita devota. Io condivido il vantaggio di questa maniera di comporre e di pensare. Ci si sente sostenuti da un'attenzione particolare, si dimentica il pubblico che riscierebbe di intimidirci o di renderci pedanti. Anche a non volerlo, c'é una maggiore intimità. Perdonami dunque, cara Irene, di averti scelta per indirizzarti questo piccolo trattato sul pensiero. Nessuno ti riconoscerà. Potrei designarti con un nome greco, come ha fatto Salomon Reinach, quando insegnava a Cornelia il latino senza lacrime o ad Eulalia il greco senza pianto. Ma non ho trovato nessun nome greco che ti convenisse meglio del tuo. Sarai la grande sconosciuta di cui nessuno distingue i lineamenti nascosti nell'ombra; sarai il simbolo dell'attenzione e del fervore.
Permettimi di manifestarti un ricordo. Quando studiavo a Parigi, mi piaceva frugare nelle bancarelle dei libri usati, lungo i marciapiedi della Senna, e avevo scoperto un quaderno rilegato in cuoio rosso che non recava traccia di scrittura. Lo comperai per pochi soldi a causa di quei fogli bianchi. Nella prima pagina c'era un'iscrizione vergata con accuratissima calligrafia: Pensieri che mi sono venuti.

parte della "DEDICA" a Irene tratta da
"Arte nuova di pensare"
di Jean Guitton
(1901-1999)

Anatomia del Potere


" Poche parole vengono usate spesso e con così poco bisogno apparente di riflettere sul loro significato come "potere", e così è stato in ogni età dell'uomo. Con il regno e la gloria viene dalla Scritture attribuito all'Essere Supremo; milioni di persone lo ripetono ogni giorno. Bertrand Russel era portato a pensare che il potere, insieme con la gloria, fosse la più alta aspirazione e il massimo premio dell'umanità.
Non molti riescono a parlare senza menzionare il potere. Di presidenti e primi ministri si dice che ne hanno o non ne hanno abbastanza. Di altri uomini politici si pensa che lo stanno acquistando o perdendo. Delle grandi imprese e dei sindacati si dice che sono potenti, e delle società multinazionali si dice che lo sono in modo pericoloso. Editori e giornalisti, dirigenti di networks radiotelevisivi e i più comunicativi, disinibiti, intelligenti e noti dei loro redattori, columnist e commentatori sono le potenze che sappiamo. Il reverendo Billy Sunday è ricordato come una voce possente; il reverendo Billy Graham è ora così descritto. LO stesso il reverendo Jerry Falwell; in effetti, tale è stato il suo potere apparente come leader morale che di lui si è potuto pensare, come di Henry ward Beecher, che ha screditato la moralità.
I riferimenti sono continui. Gli Stati UNiti sono un grande paese, importante per molte cose, e così pure l'Unione Sovietica, ma è il loro potere che il loro nome normalmente evoca: sono le "grandi potenze" o le "superpotenze". La Gran Bretagna, un tempo pure una grande potenza, non lo è più. Tutti sanno che negli ultimi tempi gli Stati Uniti hanno perso parte della loro potenza industriale a favore della Germania e del Giappone. Di nessuna di queste e di una miriade di altre allusioni al potere si pensa minimamente che abbiano bisogno di una spiegazione. per quanto diverso sia l'uso della parola, si presume che chi legge o ascolta ne conosca il significato"

tratto da
"Anatomia del Potere"
di J.Kenneth Galbraith

Un libro che ancora oggi non ha perso nulla della sua grande capacità di spiegare il funzionamento del mondo, delle società e delle relazioni che, volenti o nolenti, sono incentrate nell'esercizio di una qualche forma di potere.
m.s.