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Emily L.

" Era cominciato con la paura.
Eravamo andati a Quillebeuf, come facevamo spesso quell'estate.
Eravamo arrivati alla solita ora, nel tardo pomeriggio. Come sempre avevamo indugiato lungo il parapetto bianco che fiancheggia la banchina oltre la chiesa, l'ingresso del porto, fino alla sua foce, il sentiero abbandonato che probabilmente porta alla foresta di Brotonne.

Uno sguardo all'altra riva, al porto del petrolio, e in lontananza, alle alte scogliere di Le Havre, al cielo. Poi, un altro sguardo al traghetto rosso che incrocia, alla gente che passa, all'acqua del fiume. E sempre quel parapetto che fa da sbarramento, fragile e bianco.
Dopo, andiamo a sederci al bar all'aperto dell'hotel de la Marine, al centro della piazza, di fronte all'attracco.
I tavolini sono all'ombra dei muri dell'hotel.
L'aria è immobile, non c'è un alito di vento.

Ti guardo, tu guardi il posto. Il caldo. Le acque piatte del fiume. L'estate. E poi guardi nel vuoto. Le mani giunte sotto il mento, bianchissime, bellissime, guardi senza vedere. Assolutamente immobile, mi chiedi cosa c'é. Dico come al solito. Che non c'é niente. Che ti guardo. "

- Incipit -




Perché ci sono Coreani a Quillebeuf?

Sembra che queste persone abbiano un solo e medesimo volto, per questo sono terrificanti. Hanno capelli a spazzola, occhi a mandorla, la stessa aria ilare, la stessa corpulenza, la stessa statura.

- La morte sarà giapponese. La morte del mondo. Verrà dalla Corea. E' questo che penso.

Quei due là

L'età non è data di saperla. Si vede solo che lei è parecchio più vecchia di lui. Ma che lui si è messo al passo con la lentezza di lei. Che rifiuta di andare più avanti di quanto non possa lei, e questo da parecchi anni. Che per lei è finita, eppure è ancora là, vicino a quell'uomo, il suo corpo è ancora alla portata del suo, delle sue mani, ovunque, la notte, il giorno.
Si vedeva che tutto era finito e che al tempo stesso lei c'era ancora. Si vedeva allo stesso modo. E che, se lui se ne fosse andato, lei sarebbe morta lì, nel punto stesso in cui l'avrebbe lasciata, anche questo si vedeva.

Quanto è difficile

Ti rispondo, ma non subito:
- Certe volte, quando parliamo insieme, è difficile come morire

Le paure di lei

Ti parlo ancora della paura. Cerco di spiegarti. Non ci riesco. Dico: è in me. Secreta da me. E vive di una vita paradossale, intelligente e cellulare al tempo stesso. C'è. Senza linguaggio per esprimersi. Più precisamente, è una crudeltà nuda, muta, da me a me, annidata nella mia testa, nei recessi della mente. A chiusura ermetica. Con qualche breccia verso la ragione, la verosimiglianza, la chiarezza.

Certe storie sono così

Non lo so. Non capisco bene che cosa vuoi sapere da me. Dico quello che so, che certe storie sono inafferrabili, che sono fatte di stati successivi senza nesso fra loro. Che sono le storie più tremende, quelle che non si confessano, che si vivono senza alcuna certezza, sempre.

Viaggiatori di grandi distanze

Guardi il fiume. Il tramonto è entrato nella sala. Nei tuoi occhi ridenti. Dici:
- Sono viaggiatori di grandi distanze, le più grandi della terra. Abitano il mondo nel suo viaggio più lungo.
Parole che t'incantano.
Dico che devono avere una camera a Venezia, devono passare di là, come tutti i viaggiatori al mondo che ritornano al paese natale.

Il dolore di lei

Aveva chiesto al Captain di guardare bene la loro piccolina morta per poter raccontare poi ai genitori com'era, vedere se riconoscevano qualcosa di lei. Il Captain l'aveva fatto. Era andato a trovare i genitori e aveva descritto loro i pallidi occhi, immensi e grigi, e i capelli d'Irlanda, così neri.

Lo sguardo di lui

Al bar. Il Captain. Resta a lungo con gli occhi bassi, poi di colpo la guarda lungamente come si guarderebbe un paesaggio sconvolgente e inafferrabile, il vuoto del mare o il vuoto di un cielo.


 da
Emily L.
di Marguerite Duras

 - - -

un abbraccio

;-)

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